L’India è un paese unico al mondo anche per il caffè. In questo articolo “andiamo” in Karnataka per scoprire come nascono i migliori caffè da bar dell’india.
Il caffè in india tra sapori e spiritualità
Quando si pensa all’India vengono in mente la natura incontaminata, le spezie e il miscuglio di pratiche religiose che ne scandiscono la vita di tutti i giorni. Sapori e spiritualità così radicati nella storia indiana da pervadere qualsiasi cosa, anche il caffè. La leggenda vuole infatti che sia stato proprio un santo, Baba Budan, a portare per la prima volta il caffè nella regione del Karnataka, di ritorno dallo Yemen dopo un pellegrinaggio alla Mecca intorno al 1670. La storia racconta che sette preziosi chicchi di caffè furono nascosti nella barba fluente del Sant’Uomo.
Forse sarà per questo (come considerazione igienica?) che la pianta di caffè rimase solo un ornamento da giardino fino alla seconda metà del 1700, quando l’arrivo degli inglesi coincise con la nascita delle prime piantagioni commerciali di caffè.
Da quel momento, la coltivazione del caffè è andata crescendo fino a trasformare l’India nel sesto produttore al mondo (40% Arabica, 60% Robusta) e nella patria di caffè unici nel loro genere, che per la loro bassa acidità e una buona corposità risultano perfetti per il metodo espresso.
Le origini della storia, dall’arabica alla robusta
Baba Budan riportò in India sette chicchi di Arabica (ricostruendo a livello genetico la leggenda, dovrebbe essere stata varietà typica) e per più di un secolo rimase questa la principale varietà coltivata nel Sud dell’India, soprattutto nello stato del Karnataka – dove c’è ancora una collina che porta il suo nome, Baba Budangiri – e in quelli limitrofi del Kerala e del Tamil Nadu.
La Robusta venne introdotta solo all’inizio del ‘900, dopo che alcune epidemie di parassiti (la famosa “ruggine” che tuttora è una delle maggiori calamità con cui il mondo del caffè ha a che fare) ebbero sterminato quasi completamente le piantagioni di caffè.
Per dare un’idea dell’apocalisse che quella epidemia produsse, basta dire che lo Sri Lanka era il secondo paese produttore al mondo prima di quel periodo, mentre è praticamente scomparso, in seguito, dalla lista dei paesi produttori.
Gli investimenti e la ricerca
Da quel momento in poi però l’approccio scientifico è cresciuto molto, grazie anche agli investimenti del governo. Adesso in India si fa ricerca e sviluppo sulla tolleranza delle piante ai principali parassiti e sulla standardizzazione di una tecnologia che migliori la produzione e la qualità del caffè prodotto.
Tutto questo senza rinunciare ai veri valori aggiunti del paese: le particolari condizioni climatiche, che come vedremo sanno trasformare il caffè indiano in qualcosa di unico al mondo, e la fertilità del suolo della giungla.
La piantagione e i locali di caffè di Shamvell Nizam
È la stessa giungla che si nota alle spalle di Shamvell Nizam durante l’intervista che abbiamo realizzato per la rubrica “Meet the coffee farmer”. La famiglia di Shamvell dirige la piantagione Sandalkad di Coorg (Karnataka) da generazioni, e qui, in un vero e proprio paradiso naturale frequentato dagli elefanti, il caffè viene coltivato da due secoli insieme a piante di pepe, vaniglia e avocado (Sarchimour, S.795).
Chi pensa però che l’India sia un paese immutabile, dovrà ricredersi. Shamvell ci racconta infatti delle continue sperimentazioni della piantagione e di come l’attenzione degli indiani per il caffè stia aumentando anno dopo anno. Un fenomeno così evidente da spingerlo ad aprire una catena di locali dedicati al caffè prodotto nella sua piantagione.
Arabica e Robusta di grande qualità
Come dicevamo, in India vengono coltivate sia Arabica che Robusta e in entrambi i casi i risultati sono eccellenti. Dopo trecento anni, lo stato del Karnataka è ancora al centro della produzione del caffè indiano. È qui infatti che si concentra la metà dell’intera produzione nazionale e il 70% di quella di caffè Robusta, riconosciuti tra i migliori al mondo.
Se si esclude il Tamil Nadu (10% Arabica e Robusta) e alcune piccole regioni a Nord, è il Kerala l’altro grande stato del caffè indiano. Lungo la costa del Mar Arabico viene infatti coltivato il 30% di tutto il caffè indiano e prodotto il famoso Monsooned Malabar, ovvero il caffè monsonato, lavorato cioè esponendo i chicchi ai venti dei monsoni. Un processo che dona al caffè una caratteristica nota speziata e che, nato per caso nell’800, viene oggi riprodotto utilizzando una tecnica particolare.
Gli altri caffè dell’india
Il resto dei caffè indiani viene lavorato con il metodo lavato (Plantation Coffees), con il metodo naturale (Cherry) oppure rientrano nella categoria dei “Parchment Coffees”, caffè Robusta lavorato con il metodo lavato che di solito risulta essere tra i migliori al mondo.
Infine, l’India deve ai primi coltivatori inglesi le varietà tipiche più famose e coltivate del paese.
Una delle prime varietà di Arabica fu infatti selezionata all’inizio del ‘900 da un coltivatore inglese. Si chiamava Kent e questo fu il nome dato anche alla varietà, che dopo una certa popolarità iniziale viene adesso coltivata solo in poche zone, capaci però di fornire raccolti di qualità eccezionale.
La varietà più coltivata è invece la S.795, una selezione che discende dalla “Kent”, ne eredita la qualità risultando però più resistente ai parassiti del caffè. Molto diffusa anche la “Cavery” o “Catimor”, che unisce la qualità della “Caturra” alla resistenza dell'”Hybrido-de-Timor”. Ibrido inteso non come varietà di Arabica ma come un vero e proprio incrocio tra Arabica e Robusta e proprio per questo base di molti esperimenti in India.
Da citare, in questo senso, è sicuramente la Selection 9, che alla resistenza dell’ibrido aggiunge la qualità superiore della varietà etiope “Tafarikela”.