La suggestione delle tradizioni pre-ispaniche e un territorio ricco di vulcani e foreste d’alta quota rendono il Messico un territorio affascinante e magico, dove la produzione di caffè riesce a esprimere grande qualità e diventa espressione stessa della cultura popolare. Questo è vero soprattutto in Chiapas, la regione del paese considerata più povera e quella che produce quasi la metà del pregiato caffè messicano.
Le cooperative che gestiscono la produzione sono ormai diventate un simbolo dell’intero paese ma nate come sono per tutelare piccoli e piccolissimi produttori dall’aggressività del mercato, si trovano a dover rincorrere le esigenze di un pubblico che oggi possono essere riassunte in un termine solo: specialty. Il Messico è famoso per il suo caffè organico certificato ma appare in ritardo, rispetto agli altri paesi centroamericani, sul versante della ricerca sui monorigine.

Lo ammette anche Carlos Molina, della cooperativa Procamsi, che abbiamo intervistato per la nostra serie “Meet the Farmer“.

Dalla città di Silpetec (Chiapas), Carlos Molina racconta infatti che nonostante intraveda un futuro radioso per i produttori messicani, la ricerca sugli specialty è appena cominciata e c’è grande fame di conoscenza e di informazioni tecniche. Soprattutto, dice, la ricerca sugli specialty significa formare una nuova mentalità e una nuova consapevolezza, operazione che viene complicata dalla frammentazione delle piantagioni a gestione familiare di cui sono composte le cooperative. Quella di cui fa parte Carlos Molina, per esempio, offre assistenza tecnica e finanziaria a più di cinquecento piccoli coltivatori.

 

Una stabilità tutta da costruire

La storia dei coltivatori messicani di caffè è assai travagliata e negli ultimi decenni caratterizzata da tensioni politiche, crisi di settore e infestazioni devastanti, dalle quali però hanno saputo difendersi con tenacia e soprattutto organizzandosi in proprio.

L’Istituto Messicano del Caffè (Inmecafe) venne fondato nel 1973 per gestire tutti gli aspetti della produzione di caffè nel paese ma venne smantellato dal governo nel 1989, lo stesso anno in cui saltò l’accordo internazionale del caffè. Due eventi che lasciarono i coltivatori messicani indifesi di fronte alla volatilità del mercato e li costrinse ad un periodo di grandi difficoltà per il mantenimento delle piantagioni e delle loro stesse famiglie.
I piccoli produttori comunque non si diedero per vinti, cominciarono ad organizzarsi in cooperative di ogni forma e dimensione e sul finire degli anni ’90 intercettarono il crescente interesse del mercato per il caffè biologico e per il commercio equo e solidale. A questo si deve la certificazione d’origine delle principali regioni del caffè messicano.

Negli ultimi anni si è poi costituita una nuova associazione della catena produttiva del caffè (Amecafe). La sua attività, unita all’aumento del prezzo del caffè, ha portato a richieste sempre più pressanti per un intervento statale a sostegno della produzione caffeicola messicana e in particolar modo alla richiesta di una nuova agenzia governativa che controlli e fissi i prezzi del caffè – come già fatto per altre materie prime agricole – in modo da garantire ai coltivatori un piccolo margine di profitto. A queste iniziative, oltre che all’iniziativa delle singole cooperative nella ricerca e nello sviluppo tecnologico, sembra legata rivitalizzazione del settore del caffè messicano e in particolar modo la svolta specialty richiesta a gran voce dal mercato.

Le regioni del caffè messicano

Jaimiko, Public domain, via Wikimedia Commons
Jaimiko, Public domain, via Wikimedia Commons

Il Messico è il decimo produttore al mondo di caffè e il leader su scala globale per quanto riguarda la produzione di caffè certificato biologico. Si coltiva soprattutto Arabica (90%) lavorato con il metodo lavato e come per tutti i paesi dove si produce caffè si raccontano un sacco di storie su quando e come il primo chicco arrivò nel paese. C’è chi dice lo portarono i francesi intorno alla metà del ‘700 e chi invece sostiene che arrivò da Cuba poco dopo. Quasi tutti però concordano che il primo ingresso nel paese avvenne dal porto di Veracruz, sul Golfo del Messico. In questa regione si diffusero le prime coltivazioni e da queste, nei primi decenni dell’800, il caffè cominciò ad essere commercializzato. Oggi la zona di Veracruz produce un caffè con denominazione controllata (DO) e le varietà più diffuse sono Bourbon, Caturra, Garnica, Mundo Novo e Typica, che in tazza rivelano una grande acidità e sfumature di cioccolato, caramello, nocciola e anche di frutta. La regione di Oaxaca guarda invece il Pacifico e le sue piantagioni arrivano fino a circa 1.700 metri di altitudine. È la più recente denominazione di origine (2020) e quello prodotto in questa regione è un caffè dolce, dalle sfumature di caramello e capace di sprigionare sentori floreali. La zona di Pluma è la più rinomata ed è conosciuta anche per la varietà autoctona “Pluma Hidalgo”, una derivazione della Typica coltivata dai contadini della zona a partire da metà ‘800.

 

Puebla invece, la meno conosciuta tra le principali zone del caffè, è la regione del vulcano attivo più famoso del Messico, il Popocatepetl. Le sue pendici producono un caffè complesso, che oltre a quelle del cacao include note anche di vaniglia, noce moscata e agrumi. Infine il Chiapas, la regione più famosa del caffè messicano. Sulle pendici della Sierra Madre furono i coltivatori tedeschi del vicino Guatemala a portare il caffè alla fine dell’800. Si stabilirono nella zona di El Soconusco e diedero il via ad una coltivazione che ben presto si estese anche alle zone vicine. I caffè di denominazione controllata del Chiapas vengono considerati tra i migliori dell’intero continente americano e si riconoscono per il sapore delicato, l’acidità media, un’aroma forte e sentori di cacao.