Sostenibilità è la parola chiave che accompagna le nostre scelte quando selezioniamo i nostri caffè e le aziende che li producono. Questa scelta è dovuta dalla convinzione che un’industria del caffè equosolidale e sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che sociale, sia l’unica strada da percorrere per fare in modo che nel mondo del caffè anche i coltivatori riescano a ritagliarsi una posizione adeguata alla loro importanza

Alla scoperta dell’arabica sostenibile

Prima che il mondo si fermasse nel febbraio 2020, Bianca Bernini, Online Sale manager di Mokaflor e parte della terza generazione aziendale della famiglia, è partita per un viaggio nel cuore pulsante della produzione del caffè colombiano: un paradiso incastonato sulle Ande chiamato Eje Cafetero.

Non è un caso che la Colombia sia considerata il primo produttore al mondo di Arabica: le caratteristiche del suo territorio e del suo clima lo rendono perfetto per la coltivazione del caffè.

Bianca Bernini, nipote del fondatore di Mokaflor Vasco Bernini, ha intrapreso il suo viaggio con un obiettivo preciso: visitare le piantagioni con cui Mokaflor lavora da anni concentrandosi sia sui processi di lavorazione del caffè che sulla qualità della vita dei campesinos nelle piantagioni. Proprio per questo, ad accompagnarla, c’era Alessandro Mazzocco, General Manager del distaccamento italiano di Olam International. Olam è tra i principali fornitori di caffè verde di Mokaflor, sensibile nel supporto dei paesi di origine in via di sviluppo, con l’obiettivo di migliorare le condizioni dei lavoratori nelle piantagioni e di aiutare le loro comunità con soluzioni logistiche e finanziarie.

Dove nasce il caffè colombiano

 

Il viaggio si è concentrato nelle due regioni più rinomate per la produzione di caffè Arabica, quelle di Risaralda e di Quindío, e solo in piantagioni di piccole dimensioni chiamate “finca”, immerse nella giungla tropicale, ad un’altitudine sopra i 2000 metri e dove la temperatura non scende mai sotto i venti gradi.

La prima tappa del viaggio è stata Finca La Primavera, nel villaggio di Playa Rica, una zona rurale del comune di Santuario, che fa parte del dipartimento di Risaralda. “La Primavera” è il risultato del recupero di una piantagione abbandonata. Dopo quindici anni, la piantagione è tornata ad essere produttiva ed è stata arricchita con alberi di arance, di limoni, di mandarini e anche con pascoli per il bestiame.

Dopo aver visitato Finca La Tesalia, altra piccolissima piantagione a conduzione familiare, il viaggio si è concluso a Finca La Divisa, nella regione di Quindìo. Una piccola fattoria che come le altre, fa della pluricoltura e della sostenibilità uno dei suoi cavalli di battaglia. Il caffè è la principale coltivazione, ma non mancano alberi di Platano, Papaya, Guanabana e Avocado. Tutte piante che contribuiscono alla qualità e all’unicità del caffè Arabica che vi viene prodotto (Colombia, Castillo, Cenicafe e Tabi). Il platano, una albero dal fusto molto alto, è poi una pianta molto importante per la corretta crescita del caffè perché lo ripara da sole e dalle intemperie.

Valorizzare la sostenibilità

Le tre piantagioni visitate da Bianca, sono aziende sostenibili, che fanno del rispetto dell’ambiente e della coltivazione sostenibile un vero e proprio marchio di fabbrica e un vanto per le comunità che le abitano. Ma come sappiamo, in particolare prima della pandemia, il mercato del caffè Arabica era caratterizzato da costi di vendita molto bassi – nonostante si tratti di caffè di alto livello – e questo non ha ancora concesso ai campesinos colombiani redditi adeguati alla quantità e alla qualità del lavoro che svolgono. Perché non dobbiamo scordarci che se il caffè che beviamo non richiede che qualche secondo per essere pagato, più o meno come il tempo necessario alla preparazione di un espresso, per arrivare nella nostra tazza invece impiega più di cinque anni. Ovvero il tempo necessario alle piante per raggiungere la giusta maturazione e ai coltivatori di raccoglierne le drupe e di procedere con il processo di lavaggio e con le lavorazioni successive.

La buona notizia è che se agiamo in modo consapevole e fedele a ciò che l’industria dello Specialty Coffee ha sempre affermato di apprezzare, cioè un’industria del caffè equosolidale, sostenibile e trasparente, sia ambientalmente che socialmente parlando, allora anche chi si trova dall’altra parte della tazzina, cioè in origine a crescere e coltivare il caffè, riuscirà a ritagliarsi una fetta più giusta di questa industria.